Pagine

sabato 31 maggio 2008

Rappresentare il pensiero

Nella stesura di un testo la fase di “esplorazione delle idee” e di “sistematizzazione concettuale” è quella che, precedendo la scrittura, la orienta e la organizza.
E siccome scrivere è un fatto di parole... proprio dalle parole è utile partire. Magari inserendole in una mappa mentale.

"... una mappa mentale consiste di una parola o idea principale; intorno a questa parola centrale si associano 5 - 10 idee principali relazionate con questo termine. Di nuovo si prende ognuna di queste parole e ad essa si associano 5 - 10 parole principali relazionate con ognuno di questi termini. Ad ognuna di queste idee discendenti se ne possono associare tante altre".
Così la definisce il suo ideatore, il cognitivista inglese Tony Buzan, che ha voluto creare uno strumento utile a sviluppare la creatività, la memorizzazione, l'annotazione in chiave personale.

Le mappe mentali non hanno un'impostazione gerarchica: gli elementi vengono disposti a raggiera intorno a un “centro”, il punto di partenza e devono essere descritti con singole parole chiave per lasciare spazio ad associazioni e integrazioni.
Usando questo strumento si possono far emergere le capacità creative, le risorse mentali inconsce, i processi che ristrutturano le informazioni e che lasciano aperta più di una chiave interpretativa.
Personalmente, dopo una prima fase "a ruota libera", comincio a consultare i dizionari. I più disparati, i più strani, tutti con qualche spunto interessante. Uso anche pennarelli colorati, molti, e scrivo ogni parola rigorosamente a mano, come Buzan raccomanda, per stimolare l'emisfero cerebrale destro, aiutare il processo associativo e quindi contribuire allo sviluppo della mappa.
Una mappa mentale è un ottimo il punto di partenza per realizzare materiali diversi, compresa la scaletta, in cui la struttura a raggiera viene trasformata in una sequenza di tipo gerarchico.
E aiuta anche a vincere la "sindrome da foglio bianco" che chiunque scriva ha sperimentato con sgomento.
Facile: una sola parola, al centro del foglio e poi...pensieri in libertà!

venerdì 30 maggio 2008

Scienza e comunicazione


Questo è un estratto delle slides del mio seminario all'Università di Catania sulla comunicazione della scienza. L'approccio al tema è un po' diverso dal solito: si parla di comunicazione e non di divulgazione.
Da questi spunti è nato un interessante scambio di vedute e riflessioni che sta proseguendo e suscitando nuove ispirazioni e nuove idee.

giovedì 29 maggio 2008

Il sito è online!

Da oggi è online anche il mio sito.
Contiene un po' di informazioni, molti materiali scaricabili e soprattutto i Laboratori di scrittura.
Il progetto è di quattro anni fà, ma allora forse i tempi non erano maturi. Ora lo sono.
Sono la mia proposta per passare dalla teoria alla pratica, per mettere a punto le tecniche, per passare insieme un paio di giorni scrivendo molto, riflettendo, correggendo, imparando.
C'è molta differenza tra "sapere", "saper fare" e "saper essere".
La mia ambizione è quella di trasferire il "sapere", di farlo diventare un "fare" per "essere" buoni comunicatori.
E allora cosa c'è di meglio che mettere sul tavolo vent'anni di studi, riflessioni e sperimentazioni e condividerli?
Il progetto da oggi è ufficialmente nato. Ora sto lavorando al calendario, che partirà da settembre.

mercoledì 28 maggio 2008

Organizzare le idee


Divertente questa miniguida sui primi passi del processo di scrittura.
Di stampo tipicamente anglosassone, e quindi molto più pragmatico del nostro, aiuta a fare chiarezza quando nella nostra testa le idee volteggiano e scorazzano senza trovare una direzione.

martedì 27 maggio 2008

Consigli autorevoli

Tre giorni di silenzio. Due di "vacanza", uno di lavoro e di soccorso, per fortuna inutile, ad un'amica/sorella.
Altri pezzi del puzzle della vita, tasselli di umanità, situazioni difficili che si trasformano in occasioni per incontrare belle persone e da cui si può uscire ridendo con le lacrime.

Riprendiamo il filo....
A proposito di consigli autorevoli, ecco un'altra chicca. E' di Umberto Eco, si intitola "Come scrivere bene" ed è tratta da La Bustina di Minerva, Bompiani 2000.
Godetevi la lettura!

1. Evita le allitterazioni, anche se allettano gli allocchi.

2. Non è che il congiuntivo va evitato, anzi, che lo si usa quando necessario.

3. Evita le frasi fatte: è minestra riscaldata.

4. Esprimiti siccome ti nutri.

5. Non usare sigle commerciali & abbreviazioni etc.

6. Ricorda (sempre) che la parentesi (anche quando pare indispensabile) interrompe il filo del discorso.

7. Stai attento a non fare... indigestione di puntini di sospensione.

8. Usa meno virgolette possibili: non è “fine”.

9. Non generalizzare mai.

10. Le parole straniere non fanno affatto bon ton.

11. Sii avaro di citazioni. Diceva giustamente Emerson: “Odio le citazioni. Dimmi solo quello che sai tu.”

12. I paragoni sono come le frasi fatte.

13. Non essere ridondante; non ripetere due volte la stessa cosa; ripetere è superfluo (per ridondanza s’intende la spiegazione inutile di qualcosa che il lettore ha già capito).

14. Solo gli stronzi usano parole volgari.

15. Sii sempre più o meno specifico.

16. L'iperbole è la più straordinaria delle tecniche espressive.

17. Non fare frasi di una sola parola. Eliminale.

18. Guardati dalle metafore troppo ardite: sono piume sulle scaglie di un serpente.

19. Metti, le virgole, al posto giusto.

20. Distingui tra la funzione del punto e virgola e quella dei due punti: anche se non è facile.

21. Se non trovi l’espressione italiana adatta non ricorrere mai all’espressione dialettale: peso e! tacòn del buso.

22. Non usare metafore incongruenti anche se ti paiono “cantare”: sono come un cigno che deraglia.

23. C’è davvero bisogno di domande retoriche?

24. Sii conciso, cerca di condensare i tuoi pensieri nel minor numero di parole possibile, evitando frasi lunghe — o spezzate da incisi che inevitabilmente confondono il lettore poco attento — affinché il tuo discorso non contribuisca a quell’inquinamento dell’informazione che è certamente (specie quando inutilmente farcito di precisazioni inutili, o almeno non indispensabili) una delle tragedie di questo nostro tempo dominato dal potere dei media.

25. Gli accenti non debbono essere nè scorretti nè inutili, perchè chi lo fà sbaglia.

26. Non si apostrofa un’articolo indeterminativo prima del sostantivo maschile.

27. Non essere enfatico! Sii parco con gli esclamativi!

28. Neppure i peggiori fans dei barbarismi pluralizzano i termini stranieri.

29. Scrivi in modo esatto i nomi stranieri, come Beaudelaire, Roosewelt, Niezsche, e simili.

30. Nomina direttamente autori e personaggi di cui parli, senza perifrasi. Così faceva il maggior scrittore lombardo del XIX secolo, l’autore del 5 maggio.

31. All’inizio del discorso usa la captatio benevolentiae, per ingraziarti il lettore (ma forse siete così stupidi da non capire neppure quello che vi sto dicendo).

32. Cura puntiliosamente l’ortograffia.

33. Inutile dirti quanto sono stucchevoli le preterizioni.

34. Non andare troppo sovente a capo. Almeno, non quando non serve.

35. Non usare mai il plurale majestatis. Siamo convinti che faccia una pessima impressione.

36. Non confondere la causa con l’effetto: saresti in errore e dunque avresti sbagliato.

37. Non costruire frasi in cui la conclusione non segua logicamente dalle premesse: se tutti facessero così, allora le premesse conseguirebbero dalle conclusioni.

38. Non indulgere ad arcaismi, apax legomena o altri lessemi inusitati, nonché deep structures rizomatiche che, per quanto ti appaiano come altrettante epifanie della differenza grammatologica e inviti alla deriva decostruttiva– ma peggio ancora sarebbe se risultassero eccepibili allo scrutinio di chi legga con acribia ecdotica – eccedano comunque le competente cognitive del destinatario.

39. Non devi essere prolisso, ma neppure devi dire meno di quello che.

40. Una frase compiuta deve avere.

venerdì 23 maggio 2008

Galateo della scrittura

Nella scrittura professionale esistono molti formati per molti usi.
Tuttavia esistono inciampi trasversali che possono minare seriamente il successo di un testo, qualsiasi sia il formato e lo scopo per cui è stato concepito e scritto.
Su Internet tutti possono pubblicare di tutto, ma ci sono alcune
Gli errori di cui stiamo per parlare hanno il micidiale effetto di compromettere la credibilità, e quindi, la reputazione di chi scrive.
Risultato: era meglio andarsi a fare un giro. Senza dubbio si sarebbero fatti meno danni!

1. Non "travestite" da articolo un messaggio promozionale o pubblicitario.
I lettori sanno riconoscere le lettere promozionali e gli annunci pubblicitari. Cercare di "contrabbandarli" per articoli è garanzia di insuccesso.

2. Il formato: minimo 300, massimo 700 parole. Un articolo di meno di 300 parole rischia di non essere riconosciuto come tale e di non essere preso sul serio.
Oltre le 700 parole i vostri lettori stanno già pensando alle vacanze!

3. Controllate ortografia e grammatica! Refusi ed errori di grammatica sono insidiosi e pericolosi. Usate i software di correzione ortografica ma non fidatevi troppo. Controllate almeno due volte prima di pubblicare.

4. Evitate di inserire messaggi di vendita nel vostro profilo, che serve a fornire informazioni sull'autore e dovrebbe essere usato per questo.
I link per ulteriori informazioni sugli argomenti principali possono essere messi in fondo al profilo. Non mettere il box del vostro profilo all'interno di un annuncio pubblicitario.

5. Non scrivete cose di cui non siete sicuri. Evitate di esporre fatti che non avete controllato o su cui non avete fatto ricerche: qualcuno che li conosce potrebbe leggere l'articolo e chiedervi di rettificare quelli riportati in modo scorretto.

6. Non copiate parole o paragrafi. Molto meglio documentarsi, raccogliere informazioni e poi scrivere assemblando quello che ritenete utile o rilevante. Se invece citate qualcuno fatelo apertamente. Di solito non si fa molta strada rubando il lavoro di qualcun altro.

giovedì 22 maggio 2008

Esercizio di scrittura

Leggendo "Diario di scuola" di Pennac, mi è balenata un'ispirazione.
Lui parla di "presente d'incarnazione", delle particelle "ci" e "ne" che contengono l'universo, tanti universi, a ciascuno il suo.
Guardando queste paroline così piccole e così insidiose mi è venuto da fare una riflessione sui pronomi personali, che definirei "di esistenza". Anche loro piccoli, anche loro apparentemente innocui. Micidiali.
Quella che segue è una riflessione a voce alta, l'analisi di una situazione, la presa d'atto di un'evidenza. Si applica a molte relazioni, aziendali e non, anche se poi tutti continuiamo a ripetere che, in fondo, non c'è differenza. Sono spunti di riflessione sullo stile colloquiale e sulle insidie che nasconde.

Facciamo attenzione ad usare il NOI.
NOI è un "pronome di appartenenza", una parola che azzera le differenze, che avvicina, rende complici, ci fa pensare di essere sulla stessa barca e di andare nella stessa direzione. Se la realtà è un'altra rischia di suonare come una finzione, un'invenzione, una caricatura o, peggio, un inganno.
Per significare qualcosa NOI deve essere.
Spesso invece lo usiamo per indicare un'ipotesi, una speranza, una messinscena, un augurio, un sogno, un nascondiglio, un alibi, una zattera, un tappeto volante.
E allora diventa evidente che invece siamo IO, pronome di esistenza, e VOI pronome di distanza, o IO e LORO pronome di estraneità.
Finché VOI o LORO non diventano TU o LUI/LEI, NOI non può esistere.
Per poter essere persone al plurale bisogna prima esserlo al singolare. Non esiste il plurale del plurale.
Questione di pronomi. Due o tre lettere al massimo. In realtà una sola consonante, la V al posto della N, ha il potere di trasformare la fiducia in diffidenza, il sorriso in ghigno, un progetto in una sconfitta.
La differenza è in un bastoncino, quello che serve a trasformare una V in una N. Un bastoncino per creare un ponte, completare, allargare, riconoscere, includere.
E che sia per davvero, se no non funziona.

mercoledì 21 maggio 2008

Il senso della comunicazione d'impresa


Oggi parlare di comunicazione e scrittura ha un significato molto diverso da qualche anno fà.
Il ruolo e le funzioni della comunicazione d'impresa sono cambiate sotto i miei occhi in questi vent'anni di professione.
In queste slides trovate le tracce di questi cambiamenti, così come li ho vissuti e come li racconto ai miei studenti.

lunedì 19 maggio 2008

Intelligenza valorizzativa

"Quando vedono la grande quercia nella ghianda, le persone possono cambiare il futuro."
E' questo l'attacco del 2° capitolo del libro "Intelligenza valorizzativa" - "Vedere la grande quercia nella ghianda". Lo sto leggendo e mi sto appassionando alle storie e agli spunti che contiene.
Gli autori, Tojo Thatchenekery ( docente di Organizational Learning alla School of Public Policy della George Mason University) e Carol Metzker, (esperta di comunicazioni negli ambienti aziendali) definiscono Intelligenza Valorizzativa la capacità di alcune persone di ricontestualizzare la realtà per rivelare le possibilità nascoste nelle situazioni meno promettenti.
Presentandola, la definiscono attraverso cinque caratteristiche di base:
1. la capacità di vedere la realtà come qualcosa che possiede un alto valore, indipendentemente dal valore apparente;
2. la capacità di apprezzare le persone, di vedere e rivelare il valore nascosto negli altri e di guardare al di là degli stereotipi;
3. la perseveranza e la convinzione che è possibile raggiungere un obiettivo come risultato delle proprie azioni;
4. la tolleranza per l'incertezza;
5. una irrefrenabile capacità di ripresa dopo una crisi.
Il libro contiene i risultati delle ricerche condotte dagli autori e moltissimi casi aziendali che illustrano le applicazioni pratiche dell'intelligenza valorizzativa e cioè di come le persone abbiano la capacità di trasformare situazioni difficili in occasioni di crescita.
Mi pare giusto iniziare la settimana ricordando a noi stessi che nell'universo della nostra umanità le risorse sono molte di più, e molto più potenti, di quello che siamo capaci di credere.
Marcel Proust scrisse:"Il vero viaggio di scoperta non consiste nel cercare nuove terre, ma nell'avere nuovi occhi."
Buona settimana!

domenica 18 maggio 2008

Dizionario stralunato

Ogni tanto qualche amico o amica mi manda mail di frizzi e lazzi vari.
Non ho la più pallida idea della provenienza, ma alcune sono veramente esilaranti.
E dato che la domenica si dedica al riposo (io ho lavorato tutto il giorno!) e al relax , è assolutamente vietato essere seri, pensare cose serie e fare cose serie.
Per onorare la tradizione, quindi, di domenica solo risate!
Di seguito il dizionario che mi ha mandato la mia amica Perla un paio di giorni fà.

ABBECEDARIO - Espressione di sollievo di chi s' è accorto che c'è anche Dario
ADDENDO - urlo della folla quando a Nairobi stai per pestare una m...
ALLUCINAZIONE - Violento colpo inferto col ditone del piede
ALUNNO - esclamazione sfuggita a Papa Leone all'apparire di Attila
APPENDICITE - attaccapanni per scimmie
ASSILLO - scuola materna sarda
AUTOCLAVE - Armi automatiche dell'età della pietra
BACCANALE - Frutto selvatico usato una volta come supposta
BALESTRA - Sala ginnica per gente di colore
BASILICA - Chiesa aromatica
CACHI - Domanda che rivolgi ad uno chinato dietro un cespuglio
CALABRONE - Grosso abitante di Cosenza
CALAMARI - Molluschi responsabili della bassa marea
CERVINO - Domanda dei clienti all'oste romano
CONCLAVE - Riunione di cardinali violenti e trogloditi
CONTORSIONISTA - Ebreo arrotolato
COREOGRAFO - Studioso delle mappe della Corea
CULMINARE - Fare uso di supposte esplosive
DOPING - Pratica anglosassone del rimandare a più tardi
EQUIDISTANTI - Cavalli in lontananza
EQUINOZIO - Cavallo che non lavora
EUFRATE - Monaco mesopotamico
FAHRENHEIT - Tirar tardi la notte
FANTASMA - Malattia dell'apparato respiratorio che colpisce i forti
consumatori di aranciata
FOCACCIA - Foca estremamente malvagia
FONETICA - Disciplina che regola il comportamento degli asciugacapelli
GESTAZIONE - Gravidanza di moglie di ferroviere
GIULIVA - Slogan di chi è vessato dall'Imposta sul Valore Aggiunto
INCUBATRICE - Macchina fabbricatrice di sogni
INTERPRETATO - Posto tra due preti
LATITANTI - Poligoni con moltissime facce
LORD - Signore inglese molto sporco
MAIALETTO - Animale che non dorme mai
MASCHILISTA - Elenco di persone di sesso maschile
MESSA IN PIEGA - Funzione religiosa eseguita da un prete in curva
NEOLAUREATO - Punto nero della pelle che ha fatto l'università
OPOSSUM - Marsupiale americano possibilista
PARTITI - movimenti politici che nonostante il nome sono ancora qui
PRETERINTENZIONALE - Un prete che lo fa apposta
RADIARE - Colpire violentemente usando una radio
RAZZISTA - Fabbricatore di missili
REDUCE - Sovrano con tendenze di estrema destra
RUBINETTO - Gemma preziosa di piccole dimensioni
SCIMUNITO - Attrezzato per gli sport invernali
SCORFANO - Pesce che ha perduto i genitori
SMARRIMENTO - Perdita del mento
SOMMARIO - Indicativo presente del verbo 'Essere Mario'
SPAVENTO - Società per azioni eolica
SUCCESSO - Posizione da toilette
TACCHINO - Parte della scarpina
TELEPATIA -Malattia che colpisce chi guarda troppo la TV
TONNELLATA - Marmellata di tonno
UFFICIO - Luogo dove si sbuffa
VERDETTO - Cosmetico verde (a differenza del rossetto che è rosso)
VIGILIA - Donna vigile urbano
ZONA DISCO - Parcheggio per gli UFO

sabato 17 maggio 2008

Esercizio di sintesi

Non c'è niente di meglio per spiegare come si sintetizza un testo che facendolo!
Capita spessissimo, nel lavoro, di dover ridurre un testo senza poterlo riscrivere.
Quello che segue è un esercitazione che uso in aula.
La consegna è: dimezzare il numero delle parole senza perdere le informazioni importanti e senza toccare la struttura del testo. Unici interventi consentiti: sostituzione di parole e modifiche alla punteggiatura.
Trattandosi di un esercizio tanto vale che sia divertente, o per lo meno che tratti un argomento avvincente (e per me questo lo è!). Il testo è tratto dal sito mymovie.it e questa è la mia esercitazione personale.

Testo originale
Johnny Depp 1.320 parole
Nome: John Christopher Depp II
Data e luogo di nascita: 9 giugno 1963, Owensboro, Kentucky, USA
Gli anni Ottanta lo hanno visto emergere. Negli anni Novanta ha consolidato il suo stile, ma ha anche desertificato la sua vita privata. Nel Duemila è diventato più che un divo un oggetto di culto. Per molti, ma non per tutti. Magnifico e inquietante sono i primi due aggettivi che vengono alla mente quando si parla di Johnny Depp. Nessun attore è mai stato come lui (forse qualche antecedente in Marlon Brando, ma alla lontana). Intellettuale, ribelle, indipendente. Sceglie i suoi ruoli e i registi che lo dirigeranno in base alla complicità e, spesso, anche per via di una commovente amicizia "lunare" (come quella con Tim Burton). Sconvolgente, assiduo utilizzatore del Metodo, guru di una filosofia beat che si credeva perduta, Depp è in grado di dare un senso a un'inquadratura anche solo disegnando un mezzoghigno fra le sue labbra sottili. Nessuno è più cult di lui! Nessuno!
Nato in Kentucky, quarto figlio di una cameriera e di un ingegnere comunale che hanno divorziato quando lui aveva 15 anni, lascia la scuola e la casa (vivrà in una Impala del '67 con Sal Janco, il suo migliore amico) proprio a quell'età con la speranza di diventare un musicista rock, fondando la band The Kids. Piuttosto conosciuti in Florida, verranno ingaggiati come band d'apertura ai concerti di star come i Talking Heads, i B52s, Iggy Pop e Billy Idol. Poi dentro di lui scoppia la voglia di diventare attore e si trasferisce a Los Angeles, assieme alla prima moglie Lori Anne Allison (che ha sposato a soli 20 anni nel 1983). Studia recitazione e si guadagna da vivere vendendo spazi pubblicitari per telefono. Lì, dopo il divorzio con Lori, avviene l'incontro con Nicolas Cage (il nuovo fidanzato dell'ex moglie) che lo incoraggia a continuare per quella strada e lo spinge a fare un provino per un filmetto horror che stanno girando.
Quel filmetto è il cult horror diretto da Wes Craven Nightmare – Dal profondo della notte (1984), accanto a Heather Lagenkamp e Robert Englund. La scena più incredibile ha proprio lui come protagonista che, addormentatosi nella sua stanza, viene letteralmente ingoiato dal letto e poi risputato fuori completamente cosparso di sangue. Poi, dopo qualche ruolo televisivo in telefilm e film tv, Oliver Stone lo sceglie nella parte di un soldato per Platoon (1986). Tornato nel piccolo schermo, rimpiazzerà Jeff Yagher nel ruolo del poliziotto Tommy Hanson nella popolare serie televisiva americana 21 Jump Street, diventando un idolo per le teen-agers (riceveva 10.000 lettere al giorno dalle sua fans).
Già a partire dagli anni Novanta si fa largo nella sua carriera quell'anticonformismo che lo differenzierà dagli altri attori Made in Hollywood. Se gli interpreti della sua età (Tom Cruise, Brad Pitt, Keanu Reeves, Robert Downey Jr.) preferiscono apparire in pellicole commerciali (Intervista col vampiro, Charlot, Vento di passioni), lui sceglie quelle grottesche, come è dimostrato in Cry Baby (1990), una sorta di Grease, diretto dal terribile diavolo trash John Waters. Anche se il suo vero pigmalione artistico altri non è che il tenebroso Tim Burton che lo sceglie come protagonista di una pellicola tratta da un suo racconto per l'infanzia ("Morte malinconica del bambino ostrica e altre storie"): Edward Mani di Forbice (1990). La storia di questo Pinocchio dark, cresciuto in completa solitudine dopo la morte del suo creatore e portato fra i "normali" da una venditrice Avon, conquisterà il mondo intero, facendo di Johnny Depp (che per studiare la parte si è ispirato a Charlot) una star di prim'ordine (tanto da essere candidato come miglior attore protagonista in una commedia ai Golden Globe).
Ma non appena si tocca il Paradiso con un dito, ci sono tentazioni che vorrebbero rispedirti all'Inferno. Per Johnny Depp, queste tentazioni altro non sono che le droghe. Molto abile nella selezione dei ruoli da interpretare, sempre atipici, dark e anomali, non lo è altrettanto nella selezione delle amicizie. Infatti durante i primi '90, Johnny è, assieme a Janco,il proprietario del leggendario club The Viper Room, all'8852 del Sunset Boulevard, facendo del cameratismo con John Belushi e River Phoenix ed entrando nel giro della cocaina. È stata proprio la morte di quest'ultimo, per un'overdose proprio all'uscita dal locale, a spingere Depp a rigare dritto e cambiare diametralmente stile di vita, ma non sarà facile.
Entrato nella rosa dei candidati al Golden Globe come miglior attore protagonista per la commedia Benny & Joon (1993) di Jeremiah S. Chechik, reciterà accanto a Faye Dunaway e Jerry Lewis in Arizona Dream (1993), pellicola fantastica di Emir Kusturica, dove però litiga spesso con Vincent Gallo. Poi continuerà a collaborare con Tim Burton interpretando Ed Wood (1995), la biografia di colui che è ritenuto dalla critica il peggior regista della storia del cinema. Duttile e straordinario, viene per la terza volta nominato ai Golden Globe, senza però vincere la statuetta.
Dopo alcuni problemi con la legge (ha distrutto una suite da 2.200 dollari a notte di New York, dopo una furibonda lite con la sua ex fidanzata Kate Moss), decide di mettere la testa apposto: recita la parte di William Blake per Jim Jarmusch in Dead Man (1995), compra casa (un castello pseduo-gotico che era appartenuto a Bela Lugosi) e incide la canzone "Fade In-Out" con gli Oasis, d'altronde il rock gli scorre nelle vene! Mentre, cinematograficamente parlando, la sua filmografia si arricchisce di titoli come Donnie Brasco (1997) di Mike Newell, dove recita accanto ad Al Pacino, ma soprattutto a Christopher Walken che lui adora, e Il coraggioso (1997), il suo primo film da regista, dove dirige nientemeno che il grande Marlon Brando, il suo attore preferito, nonché suo migliore amico per la vita (si erano conosciuti sul set di Don Juan De Marco maestro d'amore). Terry Gilliam (Paura e delirio a Las Vegas, 1998) e Roman Polanski (La nona porta, 1999) gli offrono l'opportunità di riconfermarsi come attore bizzarro e oscuro, ma nessuno ha il primato di Burton nella sua vita e nella sua carriera professionale. Il regista dichiara pubblicamente che Johnny Depp è il suo alter ego, una sua estensione, per questo lo sceglie sovente come protagonista nelle sue pellicole. Il mistero di Sleepy Hollow (2000), La fabbrica di cioccolato (2005) e La sposa cadavere (2005), dove si dedica al doppiaggio per la prima volta) fanno di lui un attore culto, osannato dalla critica e ammirato dal pubblico. Depp è la controtendenza. Rifiuta persino il ruolo di Neo in Matrix e sceglie invece La vera storia di Jack lo squartatore (2001) e C'era una volta in Messico (2003).
Nonostante un'esistenza non proprio tranquilla (viene arrestato per la seconda volta dopo aver fatto a pugni con dei paparazzi all'uscita di un ristorante londinese), il suo nome professionale è impeccabile, tanto che la Francia decide di omaggiarlo nel 1999 con un César onorario.
Poi arrivano i pirati. Il punto più alto della sua carriera e forse il ruolo più bello che potesse mai interpretate. Ispirato da Keith Richards, rocker dei Rolling Stone, interpreta il più opportunista e stralunato pirata di tutti i tempi, Jack Sparrow, nella trilogia dei Pirati dei Caraibi diretta da Gore Verbinski dal 2003 al 2007, accanto a Keira Knightley e Orlando Bloom. Piovono le nominations sulla sua testa: all'Oscar, ai Bafta e agli immancabili Golden Globe. Unica pausa, è quella che si prende recitando il ruolo dell'autore de "Le avventure di Peter Pan" in Neverland – Un sogno per la vita (2004).
Sentimentalmente legato a Sherilyn Fenn, Winona Ryder (si è fatto fare anche un tatuaggio "Winona forever" che poi con la rottura del fidanzamento ha trasformato in "Wino Forever"), l'attrice Jennifer Grey e la modella Kate Moss, oggi è padre di due figli, Lily-Rose Melody e Jack, nati dalla relazione con la compagna Vanessa Paradis, attrice e cantante francese che lo ha spinto a prendere residenza in Francia, dove è proprietario (con Sean Penn e John Malkovich) del ristorante Man Ray.


Dopo la cura
Johnny Depp 660 parole

John Christopher Depp II nasce il 9 giugno 1963 a Owensboro, Kentucky, USA.
Negli anni Ottanta emerge, nei Novanta consolida il suo stile, nel Duemila diventa un oggetto di culto. Intellettuale, ribelle e indipendente sceglie ruoli e registi in base a complicità e amicizia, come con Tim Burton.
Quarto figlio di gentori divorziati, a 15 anni lascia scuola e casa fondare la band The Kids, ingaggiata per aprire i concerti di Talking Heads, B52s, Iggy Pop e Billy Idol.
Poi, per diventare attore, si trasferisce a Los Angeles, studia recitazione e vive vendendo spazi pubblicitari.
Lì incontra Nicolas Cage che lo spinge a fare un provino per il cult horror diretto da Wes Craven Nightmare – Dal profondo della notte (1984).
Oliver Stone lo sceglie nella parte di un soldato per Platoon (1986).
e partecipa alla popolare serie televisiva americana 21 Jump Street, diventando un idolo per le teen-agers.
Dagli anni Novanta diviene evidente l'anticonformismo che lo differenzia dagli altri attori di Hollywood. Gli interpreti della sua età (Tom Cruise, Brad Pitt, Keanu Reeves, Robert Downey Jr.) appaiono in pellicole commerciali (Intervista col vampiro, Charlot, Vento di passioni). Lui sceglie quelle grottesche come Cry Baby (1990.
Ma il suo vero pigmalione è Tim Burton che lo vuole protagonista di Edward Mani di Forbice (1990). Il film conquista il mondo intero, facendo di Depp una star di prim'ordine e gli vale una candidatura ai Golden Globe come miglior attore protagonista in una commedia.
Molto abile nella selezione dei ruoli da interpretare, non lo è altrettanto nelle amicizie. Nei primi '90, Johnny è il proprietario del leggendario club The Viper Room. Entra nel giro della cocaina e frequenta John Belushi e River Phoenix, la cui morte per overdose all'uscita dal locale lo spinge a cambiare stile di vita.
Candidato di nuovo al Golden Globe come miglior attore protagonista per la commedia Benny & Joon (1993), recita con Faye Dunaway e Jerry Lewis in Arizona Dream (1993).
Continua a collaborare con Tim Burton interpretando Ed Wood (1995), e viene per la terza volta nominato ai Golden Globe.
Dopo alcuni problemi con la legge, decide di mettere la testa a posto: recita la parte di William Blake in Dead Man (1995), compra casa e incide la canzone "Fade In-Out" con gli Oasis.
Intanto la sua filmografia si arricchisce di titoli come Donnie Brasco (1997) con Al Pacino e Christopher Walken, e Il coraggioso (1997), il suo primo film da regista, dove dirige il grande Marlon Brando.
Terry Gilliam (Paura e delirio a Las Vegas, 1998) e Roman Polanski (La nona porta, 1999) gli offrono l'opportunità di riconfermarsi come attore bizzarro e oscuro.
Tuttavia nessuno ha il primato di Burton nella sua vita e nella sua carriera: Johnny Depp è il suo alter ego, una sua estensione, per questo lo sceglie come protagonista nelle sue pellicole. Il mistero di Sleepy Hollow (2000), La fabbrica di cioccolato (2005) e La sposa cadavere (2005), dove si dedica al doppiaggio per la prima volta, fanno di lui un attore culto, osannato dalla critica e ammirato dal pubblico.
Depp è la controtendenza. Rifiuta persino il ruolo di Neo in Matrix e sceglie invece La vera storia di Jack lo squartatore (2001) e C'era una volta in Messico (2003).
Poi arrivano i pirati: il punto più alto e il ruolo più bello che potesse interpretare. Ispirato da Keith Richards, rocker dei Rolling Stone, interpreta il più opportunista e stralunato pirata di tutti i tempi, Jack Sparrow, nella trilogia dei Pirati dei Caraibi diretta da Gore Verbinski dal 2003 al 2007. Piovono le nominations: all'Oscar, ai Bafta e agli immancabili Golden Globe. Unica pausa è quella che si prende recitando il ruolo dell'autore de "Le avventure di Peter Pan" in Neverland – Un sogno per la vita (2004).
Oggi è sposato con Vanessa Paradis, è padre di due figli, Lily-Rose Melody e Jack, risiede in Francia ed è proprietario (con Sean Penn e John Malkovich) del ristorante Man Ray.

venerdì 16 maggio 2008

La regola del P.O.R.C.O.

Mi piace e mi diverte moltissimo.
Nessuno come Beppe Severgnini ha la straordinaria abilità di dire cose serissime in modo esilarante.
Da oggi comincia la raccolta delle regole di scrittura.
Prima che qualcuno le formalizzasse le ho applicate in modo intuitivo prima di conoscerle, scegliendo volta per volta quelle più utili.
Da un po' di tempo le "colleziono" nel tentativo di costruire un "metodo sistematico", pur consapevole che si tratta di tecniche che , di per sé, non ci rendono automaticamente buoni scrittori.
Però ci aiutano a decollare, ci guidano, ci danno una traccia di percorso da seguire. Il resto dobbiamo mettercelo noi.
Dovendo decidere da dove cominciare, questo mi pare un buon inizio. Indica un metodo che, sia pure con un acronimo "inquietante", ha il pregio di inquadrare bene il problema. E poi è tutto italiano.
Per ciascun punto ho messo un po' della mia storia professionale e dei "trucchi" che mi sono inventata per procedere e scrivere testi di cui sentirmi soddisfatta.

LA REGOLA DEL P.O.R.C.O.
Pensa (aspetta a scrivere; prima decidi cosa dire)

Prima di affrontare il foglio bianco è utile cercare un punto di partenza.
Io parto dal vocabolario. Scelgo le parole chiave e guardo cosa significano. Chi mi conosce capisce che sto riflettendo (e quindi che deve girare a largo!) dalla marea di dizionari spalancati sulla scrivania.
Perché quello che di solito accade è che nella definizione di una parola si trovino concetti interessanti. Così seguire il filo delle parole diventa un modo per ragionare, per esplorare, per scoprire.

Organizza (metti giù un piano d’azione, diviso per punti)
Le parole chiave sono un buon punto di partenza per costruire una scaletta e per mettere in sequenza i concetti. Le parole aiutano anche a costruire le "mappe" del testo che verrà.
La scaletta è per me la parte cruciale del lavoro. Se è fatta bene, il resto è molto più facile.

Rigurgita (butta fuori, senza pensarci troppo)
Seguendo la scaletta, ma anche andando a ruota libera, comincio a costruire le frasi, gli argomenti. Questa è la fase più disordinata di tutte. E deve esserlo, per funzionare bene.
Nessuna logicità, nessuna censura. Solo la penna, immaginario "retino", per acchiappare al volo i pensieri che svolazzano in testa. L'importante è "metterli a verbale", non lasciarseli sfuggire. E per farlo non è utile andare troppo per il sottile.
Questa fase per me arriva all'improvviso, come un'ondata. Spesso mi capita di dover scrivere "in velocità" e che le mani, specialmente sulla tastiera del computer, non riescano a star dietro ai pensieri. Per questo scrivo a mano.

Correggi (rileggi con calma)
Rileggere con calma per me significa prima di tutto "trascrivere" al computer. E' un modo di rileggere un po' particolare; per me significa concentrarmi su quello che ho scritto, rifletterci sù. E poi trascrivendo al computer si attiva l'opzione "copia e incolla" che a questo punto del lavoro diventa una risorsa e non una pericolosa scorciatoia.

Ometti (togli tutto ciò che non è necessario)
Una volta buttato giù il testo grezzo, si passa a quella che io chiamo "limatura". Ho scoperto che molti, come me, dedicano molto tempo al lavoro di selezionare le parole utili da quelle inutili, le ridondanze e il "superfluo" in generale. In prima battuta faccio strage di avverbi e aggettivi. Poi "asciugo", riscrivo, aggiungo o tolgo punteggiatura.
Poi rileggo a voce alta, per sentire come "suona". E' un metodo formidabile per scoprire le magagne: periodi troppo lunghi, dissonanze, intoppi.

In realtà il lavoro non finisce qui. Ci sono altre cose da fare prima di considerare "chiuso" un testo. Ma di questo avremo modo di parlare.

giovedì 15 maggio 2008

Ecologia delle relazioni

Ho tratto, e adattato, questi punti dai Dieci paradossi dell’ecologia delle relazioni
di Marco Geronimi Stoll con Francesco Betti.
Sono stati pensati per gli insegnanti nei riguardi dei bambini, ma a pensarci bene vanno benissimo anche per i comunicatori e, in generale, agli adulti.
Mi sono piaciute la franchezza e la freschezza di queste considerazioni e consigli, perché vanno dritto al punto, parlano chiaro e, soprattutto, fanno riflettere.

Nessuno può obbligare un altro a pensare un certo pensiero.
La mente di ciascuno è un luogo misterioso e complesso, di cui sappiamo solo una cosa certa: sicuramente non è uno statico magazzino di nozioni.
Ogni novità, anche la più minuscola, muove tutto l’universo misterioso della nostra mente.
Quindi niente può essere “insegnato”, tutto può essere “appreso”.

La comunicazione: o è reciproca o non è.
Quando un bambino acquisisce un’ informazione, (cioè gli si creano “differenze in mente”), contemporaneamente “insegna” qualcosa all’insegnante (cioè crea “differenze” nella mente del docente).
Morale: “se oggi non ho imparato niente dai bambini è probabile che i bambini non abbiano imparato niente da me”.

Se sbagliando si impara, allora chi non sbaglia mai resterà ignorante.
La scuola è e deve essere il posto dove si impara a sbagliare.
La più preziosa dote di un buon insegnante è saper dire “tu stai sbagliando” sottintendendo “che bello: adesso hai un’occasione per migliorarti”
(...) Non è così anche tra adulti? Chiunque di noi, se non si sente accettato in un ambiente, non può migliorare le sue parti imperfette: può solo nasconderle.

Il miglior modo per valorizzare i bambini è farli valorizzare tra loro.
Tutti questi figli unici, ebbri di solitudine televisiva, con genitori indaffarati... il loro sforzo strenuo è farsi vedere da un grande: quante spiritosaggini, bizze, ricattini, spiate, provocazioni...
(...) Uno dei mezzi per dare una svolta a questa situazione è abituarli ad ascoltarsi reciprocamente quando parlano.

Molto meglio non essere un insegnante troppo bravo.
Se siamo troppo sicuri di una teoria o di un metodo, finiamo col vedere solo quello che vogliamo. In una testa troppo “piena” di teorie e di opinioni non c’è il posto per ricevere modificazioni dall'ambiente. Così, qualche volta, “bravi” diventa il contrario di “capaci”.
Risultato: persone che hanno molte cose da dire a volte non riescono a comunicarle perché non riescono ad ascoltare gli altri.

Se diciamo a un bambino “in questo non riesci”, lui ci ubbidirà.
Ciascuno si adegua inconsciamente alle attese degli altri.
Se, credendo di incoraggiarlo, diciamo ad un bambino “tu con le divisioni sei proprio un disastro”, (o se tradiamo tale pensiero non verbalmente) probabilmente egli si adeguerà alle nostre aspettative e avrà guai con le divisioni anche all’Università.
Se invece ci aspettiamo dai bambini risultati positivi (e convincercene è un condizionamento interiore, nostro personale) allora molte cose potranno migliorare.
E’ il noto “effetto Pigmalione”, che somiglia ad una più famosa e prosaica “legge di Murphy”: se ti aspetti che qualcuno possa combinare un errore, sicuramente ciò accadrà.

Morale:
Quando state stendendo la programmazione annuale non chiedetevi solo cosa voglio insegnare”; chiedetevi anche: “Quest’anno, cosa voglio imparare?”

mercoledì 14 maggio 2008

Marketing collaborativo


Fantastiche queste slides di Leonardo Bellini sul marketing collaborativo. E si prosegue sulla strada della consapevolezza, dell'assunzione di responsabilità, delle scelte, che sempre più hanno a che vedere con quel che di umano che viene prima dell'essere target e dopo l'esserlo stati.
Lui le presenta così, e per quanto mi riguarda.... sottoscrivo!
Il marketing collaborativo, l'età della democrazia informativa in contrapposizione a quella dell'asimmetria informativa. Esempi ed applicazioni di collaborative marketing, tratti da studi e white paper di Philip Kotler e Mohanbir Sawhney, Professore della Nortwestern University.

martedì 13 maggio 2008

Public speaking


Molto interessante e ricca di spunti questa lezione di Giacomo Mason sul public speaking.
E' essenziale, completa, utilissima.
Il che mi fa enormemente piacere soprattutto perché, anziché continuare ad "importare" modelli anglosassoni, questa è la dimostrazione che quando gli italiani ci si mettono.... fanno le cose meglio di molti altri!
E mi piace anche il segnale che questa cultura della comunicazione rivolta all'altro piuttosto che all'autoaccreditamento stia finalmente affermandosi anche da noi.

lunedì 12 maggio 2008

Comunicare bene la scienza

Venerdì 9 maggio ho tenuto un seminario dal titolo "Le parole della scienza, la scienza delle parole. " alla Facoltà di Ingegneria dell'Università di Catania.
L'occasione è stata certamente utile a condividere riflessioni e spunti sulla comunicazione della scienza, questione che non è più rimandabile.
Ho avuto l'opportunità di sottoporre al Preside Prof. Luigi Fortuna, al Delegato alla Ricerca scientifica strategica Prof. Alfio Lombardo, a professori, ricercatori e studenti un po' di riflessioni e provocazioni su come e perché la scienza deve saper comunicare.
L'occasione del seminario mi è stata utile per riflettere sulle priorità per il futuro. Non è mia abitudine sollevare problemi senza indicare, o almeno lasciar intravedere, le soluzioni.
L’obiettivo generale di una efficace attività di comunicazione della scienza oggi è (ri)costruire un clima di reciproca conoscenza e fiducia tra scienza e società, stabilendo un dialogo basato su un'apertura autentica.
Ho sostenuto, con grande convinzione e con diffusa approvazione, che la comunicazione della scienza deve essere fatta prima e soprattutto dagli scienziati e non demandata o affidata ai mass media, che hanno altre logiche ed altre priorità.
Nessuno è più competente ed equilibrato nel presentare la ricerca scientifica di chi la fa dedicandoci con passione.
Gli "scienziati comunicatori" dovranno quindi farsi carico, oltre che del loro sapere tecnico, anche di trasmetterlo attraverso linguaggi, stili e modalità orientate alla relazione piuttosto che alla semplice divulgazione.
Alla presentazione è seguito un vivace dibattito, in cui si è parlato del fatto che comunicare è una forma di riconoscimento e rispetto propria dell'umanità, che gli scienziati "sanno di non sapere niente ma sanno spiegare perché" e che, avendo più dubbi che certezze, una buona soluzione nel presentare il risultato di una ricerca potrebbe essere quella di dire "La risposta è questa, per ora." anziché "La risposta è questa" e basta.
Concludo ringraziando la dottoressa Alessandra Renna, insostituibile e preziosissima sostenitrice di questa iniziativa.

sabato 10 maggio 2008

Scrivere una presentazione 1


Scrivere una presentazione non è facile, per mille ragioni.
Tuttavia esistono considerazioni di base che vale la pena fare.
Innanzitutto la presentazione è fatta di molteplici aspetti. Le slides, quindi, sono solo uno di questi. Devono a sostenere il discorso e NON sostituirlo.
Nell'economia dell'attenzione non è utile distrarre l'uditorio con slides troppo fitte di testo. Mentre leggono non vi ascoltano, e non è questo che volete.

Gli aspetti strategici di una buona presentazione:
1. Stabilire gli obiettivi
2. Analizzare i destinatari
3. Lo schema dei contenuti
a. introduzione
b. svolgimento
c. conclusioni

La scaletta
Il formato ideale di una buona presentazione dovrebbe somigliare il più possibile a quello di una scaletta.
La scaletta è il trionfo della sintesi. Che è più difficile della prolissità. Molto di più.
Voltaire una volta scrisse "ti scrivo una lettera lunga perché non ho tempo di scrivertene una breve".
Quindi solo le parole chiave, al massimo una frase. A voler esagerare due o tre concetti. Il resto è compito delle immagini, dei colori, dell'impaginazione.

venerdì 9 maggio 2008

Leggere è comprendere?


Quando scriviamo un testo dobbiamo ricordare che le parole, oltre a "significare", hanno anche un impatto visivo che ne rende più o meno facile la lettura.

I paesi anglosassoni parlano di “plain language”, che trasmette al lettore le informazioni nel modo più semplice ed efficace e mira alla massima leggibilità e alla comprensibilità del testo.
Idealmente il lettore dovrebbe riuscire a comprendere il testo così scritto alla prima lettura.

Tuttavia un testo leggibile non è necessariamente comprensibile, e viceversa.

La leggibilità di un testo dipende dal modo in cui sono strutturate le sue frasi: frasi brevi che contengono parole brevi sono più leggibili di frasi lunghe, così come frasi lineari sono più leggibili di frasi involute, ricche di incisi e subordinate. Dato che la leggibilità dipende da fattori quantitativi è misurabile.

Gli indici di leggibilità rappresentano gli strumenti di misura della leggibilità di un testo e pertanto definiscono una scala e dei valori, grazie a cui si può confrontare la leggibilità di testi differenti.
Quelli più utilizzati per la lingua italiana sono l’indice Flesch-Vacca e l’indice Gulpease. Alcuni siti web offrono il servizio di calcolo della leggibilità, del testo secondo l'indice Gulpease e confronta le parole del testo con il Vocabolario di base.

La comprensibilità dipende dalla struttura, dalle parole che contiene, ma anche dalla condivisione di un universo culturale: gli specialisti di un settore specifico si comprendono perché condividono un gergo estraneo ai profani.
Quindi è importante preoccuparsi, a seconda dei nostri destinatari, del grado di diffusione, o popolarità, delle parole che il nostro testo contiene.
Il Vocabolario di base dell’italiano, curato dal linguista Tullio De Mauro, è composto di 7050 parole, comprensibili al 60% circa della popolazione. Nella scrittura di un testo destinato a un pubblico generico, è importante attingere a piene mani proprio da lì, sperando che il numero di parole aumenti nel tempo!

giovedì 8 maggio 2008

Come volevasi dimostrare!


Oggi su tutti i giornali sono riportati i dati dell'indagine Istat sull'istruzione degli italiani.
Quasi la metà (48,2%) è ferma alla licenza media inferiore.
Al Sud la percentuale cresce, fino a sfiorare il 60%.
E mentre lo Stato continua a spendere poco per l'istruzione e la cultura, noi, "ineducati" facciamo altrettanto: la spesa per i consumi culturali è la più bassa dei paesi dell'UE, compresi quelli entrati di recente.
E giusto per tentare di indicare una "controtendenza" mi piace segnalare che proprio oggi, guarda un po', si inaugura la Fiera del Libro a Torino. In questi giorni se ne è parlato soltanto riguardo al dilemma sul boicottaggio di Israele, come se la cultura e la civiltà fossero appannaggio di "alcuni" e non di "tutti".
E se cominciassimo, tanto per cambiare, a cercare di capire cosa c'è scritto dentro quegli oggetti misteriosi? Potremmo fare scoperte intereressanti: ci sono frasi, parole, storie. A patto che li si apra e non li si lasci a raccogliere polvere sugli scaffali.

mercoledì 7 maggio 2008

Internet e stampa

Secondo un sondaggio tra 700 direttori di quotidiani pubblicato ieri da Repubblica la carta stampata ha ancora un futuro.
A patto che sappia rinnovarsi, reinventarsi, ritrovare un suo spazio.
L'85% di loro è ottimista per il futuro, ma ad alcune condizioni.
1. Maggiore spazio per gli approfondimenti (67%)
2. Multimedialità e interazione (86%)
3. Recupero della fascia di lettori giovani (in calo per il 58% degli intervistati).
Io aggiungerei un'altra priorità, secondo me oggi più che mai urgente: autorevolezza.
Ormai chi vuole sapere cosa è successo ha mille modi per farlo. Quindi la differenza non è data dalla quantità delle informazioni, ma dalla qualità: delle riflessioni, dei punti di vista e, perché no, della scrittura.
Paradossalmente mai come adesso l'autorevolezza è un'urgenza: dentro la miriade di informazioni disponibili come scegliere quelle "giuste"? Come fidarsi, o non fidarsi, di quello che si trova nella rete?
Mai come ora il giornalismo deve ritrovare la sua antica missione: informare, illustrare, provocare, aiutare a riflettere.

martedì 6 maggio 2008

Tutto vero!

Oggi è il mio compleanno, e ho voluto regalarmi qualche risata di cuore. Mi ha aiutato Stefano Bartezzaghi enigmista, scrittore e ludolinguista .
Si è laureato in Discipline delle Arti e dello Spettacolo (Facoltà di Lettere e Filosofia di Bologna), con Umberto Eco. Attualmente collabora con La Repubblica dove cura la rubrica "Lessico & Nuvole". È figlio di Piero Bartezzaghi, quello i cui cruciverba apparivano per ultimi sulla Settimana Enigmistica ed erano quelli più difficili di tutti.
Un nome una garanzia, insomma.
Ha pubblicato di recente un libro che si intitola "Non ne ho la più squallida idea", una raccolta di "frasi matte da legare", sviste e strafalcioni vari, tutti veri e tutti esilaranti.
Ne ho scelto qualcuno, tanto per non perdere l'abitudine di farsi, ogni tanto, qualche sana risata.
Le didascalie sono opera mia, perché non si dica che oggi non ho lavorato!
Cautela: "Dobbiamo essere prudenti e procedere a passo d'uovo."
Strani pesci: " Stavo pensando di fare una cernia fra i vecchi libri."
Salutista: "Vorrei mangiare qualcosa di combustibile."
Disordine: "Bisogna mettere a posto il cassetto di cucina che è pieno di tafferugli."
Sensoriale: "A Roma c'è una tradizione archeologica che si può vedere con mano."
Generosità: "Vorrei spendere una lancia a favore di questa ipotesi."
Versi: "Sono tanto stanca che potrei starnazzare a terra!"
Allarme: "Un'ambulanza con le sirene spietate."

lunedì 5 maggio 2008

Leggere per scrivere

Per scrivere bene bisogna saper leggere. Sembra un controsenso. Per qualcuno, specie se giovane, suona come una condanna: "Oddio, un libro!".
Eppure non c'è modo migliore per acquisire vocabolario, imparare stili e modi espressivi, uso di parole e verbi, che leggere. Per certi versi molto meglio della grammatica!
Leggere per molti significa soffrire, per altri annoiarsi, per altri ancora subire una punizione.
Colpa della scuola? Forse. Colpa della televisione? Può darsi.
Fatto sta che nell'era del digitale, in cui le parole viaggiano nell'iperspazio in tempo reale, a mancare spesso sono proprio loro. Posso parlare con il mondo, ma per dire cosa?
Mi sento "antica" quando parlo di queste cose, come se i libri appartenessero ad un'altra era geologica, a un altro mondo, anzi a un'altra galassia.
Per me che ho sempre letto, e continuo a leggere, con gioia un libro è un'oasi di felicità, un altro mondo dentro cui immergermi, un paesaggio da scoprire e una storia da attraversare.
Altro che vacanza! Molto meglio e molto di più.
Perché i libri hanno un dono magico: possono portarti, oltre che in un altro luogo, anche in un altro tempo e, per questo, possono essere "moltiplicatori di vita", concentrati di umanità, condensati di esperienze, di passati e di futuri.
E sono meravigliosi antidoti alla noia, all'ansia, al male di vivere che ogni tanto ci sorprende e cerca di tirarci indietro.
Tra gli autori che su di me hanno e continuano ad avere molti buoni effetti segnalo Daniel Pennac, tanto per cominciare... e per proseguire.. e per finire.. e per ricominciare!

domenica 4 maggio 2008

Le origini della scrittura



Carina questa presentazione su diversi tipi di scrittura. E' fatta per i bambini, e per questo è semplice e lineare. Il che la rende adattissima anche agli adulti.

sabato 3 maggio 2008

Comunicazione pubblica

Otto anni fà è entrata in vigore la Legge 150, che regolamenta le attività di comunicazione delle amministrazioni e degli enti pubblici.
La legge non è fatta male. Semmai la questione è: può una legge "inventare" le competenze necessarie per essere applicata in modo efficace?
La risposta è troppo scontata per meritare attenzione.
In realtà la legge presuppone un cambiamento radicale di punto di vista, basato sulla considerazione dei cittadini come "clienti".
Una vera rivoluzione, soprattutto se consideriamo che gli enti pubblici operavano, e continuano ad operare, in una situazione di monopolio.
Sarà per questo che ancora tante amministrazioni tardano a rispettarla?
Perché mai un'amministrazione, che i clienti ce li ha "per legge", dovrebbe preoccuparsi di sapere se sono contenti, di cosa hanno bisogno, che cosa si aspettano?
Perché così si lavora meglio, perché persone informate e consapevoli sono anche più collaborative, perché tutto quando si fa buona comunicazione così funziona. E da anche molta più soddisfazione.
E allora come si fa? Si mettono in rete le esperienze, tanto per cominciare. Nella Pubblica Amministrazione funziona così. E alcune sono davvero interessanti, e le potete trovare, ad esempio, nell'ottimo sito urp degli urp, dove sono raccolti casi di successo e ottime "istruzioni per l'uso".

venerdì 2 maggio 2008

Scrittura e relazione

I testi scritti aziendali rispecchiano le dinamiche di relazione.
Occorre quindi prestare attenzione alla formulazione del contenuto ed alla forma dei documenti.
I testi aziendali devono saper riprodurre anche gli aspetti non verbali della comunicazione, che sono quelli che prevalgono nel determinare la qualità delle relazioni e quindi consentono di raggiungere gli obiettivi.
Qualche dritta:

Riprodurre nello scritto il tono di voce:
Tono: scelta del linguaggio, uso degli aggettivi e degli avverbi.
Tempo: fraseggio (lineare e complesso), punteggiatura.
Timbro: tipo di carattere.
Volume: corpo ed aspetto dei caratteri.

Riprodurre nello scritto la gestualità:

Contatto visivo: impatto visivo del testo, livelli di lettura, ariosità.
Gestione del territorio: spaziature, interlinea, titoli e sottotitoli.
Abbigliamento: carta intestata.
Vocaboli, gerghi, modi di dire: linguaggio tecnico o “ufficiale”.

giovedì 1 maggio 2008

Comunicazione non verbale

Sondaggio: cosa vi fa venire in mente questa foto? O meglio: cosa suggerisce la postura di Clinton? Questa è solo una delle innumerevoli dimostrazioni di quanto il linguaggio del corpo sia molto più eloquente di quanto si pensi! Ogni volta che le persone si trovano faccia a faccia avviene uno scambio di informazioni e una interazione a livello relazionale.
La componente verbale assolve alla funzione cognitiva mentre la componente non verbale è il linguaggio della relazione.
La componente non verbale è meno controllabile razionalmente e fornisce informazioni aggiuntive rispetto alla comunicazione verbale.
Se tra le due componenti c’è incoerenza può succedere che la comunicazione non verbale arrivi a smentire quella verbale.
Quando ci troviamo di fronte a qualcuno, di quello che percepiamo ci rimane impresso:
Fisionomia 55%:
comportamento spaziale, movimenti del corpo, espressione del volto
Suono 38%: paralinguaggio.
Parole 7%.
Nel sito Mistermedia una divertente galleria di personaggi (politici, attori ecc.) di cui vengono analizzate tutte le componenti della comunicazione e vengono proposte interessanti riflessioni circa la sua efficacia.