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giovedì 15 maggio 2008

Ecologia delle relazioni

Ho tratto, e adattato, questi punti dai Dieci paradossi dell’ecologia delle relazioni
di Marco Geronimi Stoll con Francesco Betti.
Sono stati pensati per gli insegnanti nei riguardi dei bambini, ma a pensarci bene vanno benissimo anche per i comunicatori e, in generale, agli adulti.
Mi sono piaciute la franchezza e la freschezza di queste considerazioni e consigli, perché vanno dritto al punto, parlano chiaro e, soprattutto, fanno riflettere.

Nessuno può obbligare un altro a pensare un certo pensiero.
La mente di ciascuno è un luogo misterioso e complesso, di cui sappiamo solo una cosa certa: sicuramente non è uno statico magazzino di nozioni.
Ogni novità, anche la più minuscola, muove tutto l’universo misterioso della nostra mente.
Quindi niente può essere “insegnato”, tutto può essere “appreso”.

La comunicazione: o è reciproca o non è.
Quando un bambino acquisisce un’ informazione, (cioè gli si creano “differenze in mente”), contemporaneamente “insegna” qualcosa all’insegnante (cioè crea “differenze” nella mente del docente).
Morale: “se oggi non ho imparato niente dai bambini è probabile che i bambini non abbiano imparato niente da me”.

Se sbagliando si impara, allora chi non sbaglia mai resterà ignorante.
La scuola è e deve essere il posto dove si impara a sbagliare.
La più preziosa dote di un buon insegnante è saper dire “tu stai sbagliando” sottintendendo “che bello: adesso hai un’occasione per migliorarti”
(...) Non è così anche tra adulti? Chiunque di noi, se non si sente accettato in un ambiente, non può migliorare le sue parti imperfette: può solo nasconderle.

Il miglior modo per valorizzare i bambini è farli valorizzare tra loro.
Tutti questi figli unici, ebbri di solitudine televisiva, con genitori indaffarati... il loro sforzo strenuo è farsi vedere da un grande: quante spiritosaggini, bizze, ricattini, spiate, provocazioni...
(...) Uno dei mezzi per dare una svolta a questa situazione è abituarli ad ascoltarsi reciprocamente quando parlano.

Molto meglio non essere un insegnante troppo bravo.
Se siamo troppo sicuri di una teoria o di un metodo, finiamo col vedere solo quello che vogliamo. In una testa troppo “piena” di teorie e di opinioni non c’è il posto per ricevere modificazioni dall'ambiente. Così, qualche volta, “bravi” diventa il contrario di “capaci”.
Risultato: persone che hanno molte cose da dire a volte non riescono a comunicarle perché non riescono ad ascoltare gli altri.

Se diciamo a un bambino “in questo non riesci”, lui ci ubbidirà.
Ciascuno si adegua inconsciamente alle attese degli altri.
Se, credendo di incoraggiarlo, diciamo ad un bambino “tu con le divisioni sei proprio un disastro”, (o se tradiamo tale pensiero non verbalmente) probabilmente egli si adeguerà alle nostre aspettative e avrà guai con le divisioni anche all’Università.
Se invece ci aspettiamo dai bambini risultati positivi (e convincercene è un condizionamento interiore, nostro personale) allora molte cose potranno migliorare.
E’ il noto “effetto Pigmalione”, che somiglia ad una più famosa e prosaica “legge di Murphy”: se ti aspetti che qualcuno possa combinare un errore, sicuramente ciò accadrà.

Morale:
Quando state stendendo la programmazione annuale non chiedetevi solo cosa voglio insegnare”; chiedetevi anche: “Quest’anno, cosa voglio imparare?”

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