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giovedì 22 maggio 2008

Esercizio di scrittura

Leggendo "Diario di scuola" di Pennac, mi è balenata un'ispirazione.
Lui parla di "presente d'incarnazione", delle particelle "ci" e "ne" che contengono l'universo, tanti universi, a ciascuno il suo.
Guardando queste paroline così piccole e così insidiose mi è venuto da fare una riflessione sui pronomi personali, che definirei "di esistenza". Anche loro piccoli, anche loro apparentemente innocui. Micidiali.
Quella che segue è una riflessione a voce alta, l'analisi di una situazione, la presa d'atto di un'evidenza. Si applica a molte relazioni, aziendali e non, anche se poi tutti continuiamo a ripetere che, in fondo, non c'è differenza. Sono spunti di riflessione sullo stile colloquiale e sulle insidie che nasconde.

Facciamo attenzione ad usare il NOI.
NOI è un "pronome di appartenenza", una parola che azzera le differenze, che avvicina, rende complici, ci fa pensare di essere sulla stessa barca e di andare nella stessa direzione. Se la realtà è un'altra rischia di suonare come una finzione, un'invenzione, una caricatura o, peggio, un inganno.
Per significare qualcosa NOI deve essere.
Spesso invece lo usiamo per indicare un'ipotesi, una speranza, una messinscena, un augurio, un sogno, un nascondiglio, un alibi, una zattera, un tappeto volante.
E allora diventa evidente che invece siamo IO, pronome di esistenza, e VOI pronome di distanza, o IO e LORO pronome di estraneità.
Finché VOI o LORO non diventano TU o LUI/LEI, NOI non può esistere.
Per poter essere persone al plurale bisogna prima esserlo al singolare. Non esiste il plurale del plurale.
Questione di pronomi. Due o tre lettere al massimo. In realtà una sola consonante, la V al posto della N, ha il potere di trasformare la fiducia in diffidenza, il sorriso in ghigno, un progetto in una sconfitta.
La differenza è in un bastoncino, quello che serve a trasformare una V in una N. Un bastoncino per creare un ponte, completare, allargare, riconoscere, includere.
E che sia per davvero, se no non funziona.

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