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martedì 30 settembre 2008

Scrittura tecnica


Technical Writing
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Ottima questa presentazione di Douglas Blackley sulla scrittura tecnica. E' in ambito poco esplorato, che fa tutta la differenza del mondo soprattutto per quanto riguarda i famigerati, odiatissimi "manuali di istruzioni".
Chi di noi non si è mai trovato davanti a foglietti incomprensibili alzi la mano!

venerdì 26 settembre 2008

Ma la punteggiatura serve ancora?

Leggendo qua e là scopro sempre nuovi usi della punteggiatura: virgole nei posti più impensati, punti esclamativi come se piovesse.
I blog dei ragazzi, di contro, non ce l'hanno: tutto di fila, flusso ininterrotto di coscienza, vocali neanche a parlarne, apostrofi inesistenti, parole il cui significato si riconosce da come "suonano".
Per quel che ne so io la punteggiatura ha ancora la funzione di esprimere le relazioni fra le varie parti del discorso (parole, frasi) e di segnare le pause della lettura.
Punteggiare con logica e misura fa parte strettissima dello scrivere bene, tanto quanto lo scegliere le parole giuste.
Tanto per rendere meglio l'idea, ho tolto la punteggiatura da un testo giornalistico di qualche tempo fà, giusto per vedere l'effetto che fa. Naturalmente ho tolto anche le iniziali maiuscole dopo i punti.
A questo punto la sfida è lanciata: chi se la sente di rimettercela?
Tra qualche giorno pubblicherò la versione corretta, ma se intanto qualcuno si vuole divertire......

VIENNA - Il governo austriaco restituirà ai legittimi eredi cinque tele del pittore Gustav Klimt sottratte durante il nazismo ai proprietari ebrei lo ha annunciato il ministro della cultura Elisabeth Gehrer dopo la decisione di una commissione arbritrale indipendente, che ha accolto la richiesta di restituzione avanzata dall'erede Maria Altmann la donna 89 anni residente a Los Angeles è la nipote della famosa Adele Bloch-Bauer la bella e colta signora ebrea più volte immortalata nelle tele del grande pittore proprio i due ritratti della zia oltre a tre paesaggi erano da sempre reclamati dalla Altmann nonostante il volere della defunta prima di morire nel 1925 la zia aveva infatti disposto che i cinque quadri fossero lasciati in eredità al Museo Belvedere con l'avvento del nazismo però il marito della Bloch-Bauer anch'egli ebreo fu costretto ad abbandonare l'Austria e i nazisti gli espropriarono le preziose opere che nel 1938 furono assegnate d'autorità al Museo Belvedere nessuna donazione dunque ragione sufficiente per far sì che la nipote chiedesse la restituzione delle opere al governo austriaco ho sempre cercato una soluzione consensuale ha dichiarato la signora Altmann ho anche scritto al ministro Gehrer senza ottenere risposta volevo risolvere la cosa in pace ma non è stato possibile ora che i quadri sono finalmente tornati nelle mani della legittima erede Maria Altmann vuole che i ritratti della zia i famosissimi Adele Bloch-Bauer I e II restino in Austria per i tre paesaggi di Klimt invece ha assicurato che farà in modo che vengano acquistati da musei piuttosto che da privati il valore dei cinque quadri si aggira tra i 140 e 200 milioni di euro il museo Belvedere che possiede le più importanti opere dell'artista viennese ha già lanciato un appello alle istituzioni competenti perché reperiscano al più presto i fondi necessari per comprare almeno i due ritratti che fino a ieri facevano parte della collezione del museo

Giusto per non seminare il panico, ricordo che, a rigor di grammatica, abbiamo a disposizione:
la virgola,
il punto e virgola,
i due punti,
il punto fermo,
il punto esclamativo,
il punto interrogativo,
i puntini di sospensione.

Buon divertimento!

sabato 6 settembre 2008

La storia infinita


Neanche a farlo apposta ho appena finito di scrivere di business plan e subito mi si dà l'occasione di vedere come NON si fa.
Del piano industriale dell'Alitalia non riesco a venire a capo.
Prima di mollare mi sono documentata: ho ascoltato i notiziari e letto i giornali.
Non riesco a capire qual è il ragionamento, o almeno come di possa far passare per piano di rilancio la decisione di dismettere settori in attivo ed essere così confusi su tutto il resto.
Come ho detto, e ribadisco, sono i conti che alla fine dimostrano se le idee sono buone o no.
Che ci sia da tagliare i costi non c'è dubbio. Ma dove? E come?
Quanta gente c'è di troppo? 7.000, 4.000 o 3.250 persone?
Quanti aerei di meno? 80 o 40?
Quanti hub? 2 (Roma e Milano) 0 6 (Roma, Milano, Torino, Venezia, Napoli e Catania)?
Quale strategia imprenditoriale? Potenziare i voli a medio e lungo raggio o le tratte di corto e medio raggio?
Di questi aspetti chi si accinge a comprare la compagnia avrebbe già dovuto occuparsi, e magari rompersi il cervello, per capire come far quadrare i conti. Se no come ha fatto a decidere che Alitalia è un buon affare?
E allora perché non si riesce ad avere una certezza, un numero qualsiasi che non cambi in mezza giornata, una linea strategica che non vada da parti opposte un giorno sì e uno no?

venerdì 5 settembre 2008

Scrivere un business plan 4

A questo punto dobbiamo scrivere il famigerato piano di marketing.
Tre paroline facili facili. Complicatissime.

Il piano di marketing contiene:

1. Analisi del mercato e della concorrenza
Lo scenario, macro e micro. La fotografia del settore/comparto economico, gli andamenti economici generali, "l'aria che tira". E poi i dati numerici sul mercato di riferimento, quanti potenziali clienti, dove si trovano, come acquistano, come è più facile parlare con loro.
Con la globalizzazione tutto è diventato più difficile. Le interrelazioni sono tante e tali che ovunque nel mondo succeda qualcosa, quel qualcosa ci riguarda. L'effetto farfalla, insomma. Tanto per renderci la vita un po' più facile.
E poi ci sono i concorrenti, quelli che, a diversi livelli, cercano di conquistare gli stessi clienti che vogliamo anche noi o fornendo prodotti o servizi simili ai nostri o offrendo loro alternative.

2. Definizione del posizionamento strategico
Come ci vogliamo definire, che identità vogliamo dare alla nostra offerta, come possiamo trovare una definizione di noi stessi che faccia breccia nella superbombardata mente dei nostri interlocutori e che ci resti ben piantata.
Un buon posizionamento deve essere:
semplice
chiaro
comprensibile
sintetico
facile da ricordare.
Un bel rompicapo. Qui si perde un bel po' di tempo. Di solito si parte da definizioni a ruota libera e via via si semplifica fino ad arrivare al "nocciolo". Con un vocabolario vicino si fa prima.

3. Definizione e sviluppo del marketing mix
Prodotto
Prezzo
Distribuzione/localizzazione
Promozione/comunicazione
Le famose 4 P, che poi sono diventate 6 (insieme a Power/Potere e Public Relations).
Non credo sia necessario spiegare cosa sono.
Il punto è un altro: in questa fase la parola chiave è COERENZA. Tutti gli elementi devono essere coerenti tra loro e tutti insieme devono esserlo con il posizionamento. Anche qui di solito si parte a ruota libera e poi si fanno le verifiche.

4. Definizione del piano economico
E' la prova del nove. Il terrore degli imprenditori. Serve a verificare, cifre alla mano, se quello che abbiamo progettato sta in piedi o no.
I numeri sono potentissimi dal punto di vista descrittivo, a patto di saperli leggere.
Un conto economico deve contenere solo due numeri con il segno + davanti: la voce "ricavi" (incassi probabili) e la voce "utile dopo le tasse". Tutti gli altri numeri hanno davanti il segno -, e sono quelli che descrivono i costi (quelli fissi, che si sostengono a prescindere, e quelli variabili, che sono legati alla produzione/erogazione).
E non è tutto. I numeri con il segno - davanti sono le spese SICURE, i numeri con il segno + sono i ricavi, e quindi gli utili, che FORSE arriveranno.
Se alla fine il segno è + tutto ok e possiamo tirare un sospirone di sollievo. Se no bisogna inventarsi qualcosa, tornare indietro e modificare le decisioni. Ad una condizione: la coerenza deve essere garantita, ad ogni costo!

mercoledì 3 settembre 2008

Scrivere un business plan 3

Riprendiamo da dove avevamo lasciato.
Stavamo parlando di business plan, cioè di un piano di azioni utili a servire un mercato in modo efficace.
La questione a questo punto è: come si fa ad entrare in relazione con il mercato?

A grandi linee il processo di può riassumere in 5 fasi cruciali.

1. Identificare le esigenze dei clienti
Il che significa ascoltarli, sentire ciò di cui hanno bisogno, raccogliere aspettative e desideri, capire quale tipo di soluzione cercano.
La fase dell'ascolto, oggi evidentemente al centro dell'attenzione, è stata per molto tempo sottovalutata. In genere lo strumento principale sono le ricerche di mercato, più o meno esatte e più o meno accurate. Tuttavia in un momento storico come questo stanno dimostrando il loro limite intrinseco: colgono solo gli aspetti più superficiali, più evidenti. Inoltre fotografano una situazione in un dato momento, mentre oggi i cambiamenti sono veloci.

2. Creare un prodotto/servizio rispondente a tali esigenze
Significa progettare qualcosa che sia veramente utile, che risolva veramente qualcosa, che migliori sul serio la vita, o almeno un suo aspetto pratico.
Recentemente ho letto di un'indagine svolta tra gli utilizzatori di telefoni cellulari: tutti sgomenti di fronte alla crescente complessità degli aggeggi disponibili.
Eppure chi li produce insiste nello sfornare modelli con sempre più funzioni, con sempre maggiori possibilità.
L'utilizzatore "medio" (oddio, che brutta parola!) vorrebbe solo telefonare in santa pace, o al massimo mandare messaggi e foto. E invece tra un po' dal cellulare si potrà programmare il decollo degli shuttle.
La domanda è: per chi sono questi telefoni? Il paradosso finale è che se cerchi un telefono che telefoni e basta non solo vieni guardato con sospetto ma hai pure difficoltà a trovarlo!

3. Renderlo disponibile per i clienti
Distribuzione, localizzazione, reperibilità. Farsi trovare, portare il prodotto più vicino possibile ai clienti.
A patto di giocare pulito.
Recentemente volevo comprare un paio di scarpe da ginnastica arancioni della Nike. Le aveva un amico e le volevo anch'io.
Ho pensato (ahimè!) di andarle a cercare nel negozio Nike. E dove se no? Quando le ho chieste mi hanno guardato come se fossi piovuta da Marte. Mi hanno risposto che non le avevano mai viste e non sapevano di cosa stessi parlando.
Sono uscita perplessa.
Poi sono capitata davanti ad una vetrina di Foot Locker: le mie scarpe erano lì, in bella mostra in vetrina. Non avevo sbagliato: erano Nike. E le ho comprate.
In questa circostanza ho scoperto che Nike distribuisce i suoi prodotti parte nei negozi monomarca e parte in altri negozi.
Il che significa che quello che trovi nei negozi monomarca non lo trovi negli altri e viceversa.
A questo punto mi domando: se vuoi comprare una maglietta come fai a sapere dove la trovi? Lanci la monetina? Vai dalla fattucchiera? Ti prendi le ferie per fare la caccia al tesoro?

4. Comunicare l’esistenza del prodotto/servizio
Alla pubblicità, si sa, ormai non crede più nessuno. O almeno alle iperboliche e sperticate lodi che i pubblicitari continuano a fare di prodotti improbabili spacciati per miracolosi.
La pubblicità, quindi, serve solo a dire "c'è". Per il resto ci sono i forum e le community, che la sanno molto più lunga.

5. Migliorare la performance del prodotto/servizio
Qui il cerchio si chiude. L'ascolto continuo dovrebbe portare a correggere i difetti. Sono ancora troppe le aziende che pensano che l''importante è "aver venduto" e poi chi s'è visto s'è visto.
Il Web 2.0 sta dando filo da torcere a parecchie di loro.
Nei servizi è più facile cambiare e migliorare in corsa. La produzione è più impegnativa, più lenta da modificare e, soprattutto, più costosa.
Ma ormai la strada si è imboccata: se non spendo adesso per migliorare pagherò caro dopo perdendo clienti.

martedì 2 settembre 2008

Spunti dalle Olimpiadi

Ho sempre pensato che lo sport fosse in qualche misura una metafora della vita.
Quest'anno, come sempre, mi sono appassionata a seguire le Olimpiadi, quando ho potuto. E come ogni volta non ho potuto fare a meno di riflettere su ciò che ho visto, trasferirlo nella realtà che vivo. In particolare ho riflettuto sul concetto di competizione, di individuo e di squadra.
Come al solito sono partita dal dizionario:
competere significa gareggiare, misurarsi, stare a confronto, concorrere, ma anche litigare, discutere;
individuo significa singolo organismo vivente considerato distintamente da ogni altro della stessa specie, la persona considerata nella sua singolarità:
squadra significa gruppo organizzato di persone che svolgono una stessa attività o mansione,
gruppo di atleti che partecipano come insieme unitario a una competizione collettiva.

E ho notato una differenza: negli sport individuali ogni atleta deve fare tutto da solo, essere nel pieno della forma, non sbagliare mai, fare ogni mossa alla perfezione. Sapendo che prima poi verrà fuori qualcuno migliore. E' un dato di fatto. Per quanto un atleta possa essere in forma, dare il massimo e vincere oggi, domani ci sarà qualcun altro più giovane, più in forma, più motivato. E vincerà lui. La logica quindi è prestazioni estreme, risultato effimero, stress alle stelle.

Le squadre, invece, hanno una logica completamente diversa. Anche se un giocatore è bravissimo, c’è sempre qualcosa in cui non è molto abile. E tramite il gioco collettivo si riesce a far emergere il meglio di ognuno, sopperendo ai suoi difetti con le doti di un altro. In altre parole a ciascun giocatore non viene chiesto di fare tutto, ma di fare bene quello che sa fare. Combinando queste abilità, che tanto più sono diverse tanto più hanno valore, si arriva insieme al risultato. In questo caso la logica è: far bene il proprio lavoro, collaborare con gli altri, contare sul gruppo come moltiplicatore di potenzialità.

Trasponendo questi concetti alla nostra vita e al modo in cui le imprese affrontano i mercati, è evidente che si praticano esclusivamente sport individuali. Con il risultato di vedere persone che compiono sforzi inauditi, si stressano da morire e, se gli va bene, conseguono risultati che già il giorno dopo possono essere superati da qualcun altro.

Tutto questo gran parlare di comunicazione, di relazioni, di condivisione e di scambio lascia intravedere una prospettiva di cambiamento di mentalità: forse significa che ci stiamo accorgendo che la collaborazione di una squadra è meglio della solitudine di un individuo, che collaborare è più divertente e meno stressante che competere, che in fondo andiamo bene così come siamo e che, insieme ad altri, bravi a far cose per noi difficili, possiamo arrivare molto più lontano.