“Societing”, l’ultimo libro di Giampaolo Fabris, contiene un pesante j’accuse rivolto alle imprese che faticano a modificare i loro comportamenti continuando a puntare su un’apparenza che non è sostanza, su una logica di persuasione piuttosto che di relazione.
In un’intervista rilasciata a “La Stampa” Fabris, guru della società dei consumi, docente di Scienze della comunicazione all'Università San Raffaele, che dal ‘77 monitorizza i cambiamenti socioculturali della società italiana, lancia accuse pesanti alle imprese. Riporto i passaggi che mi sembrano più significativi, soprattutto per ridefinire il ruolo dei comunicatori d’impresa, che dovrebbero essere i primi promotori della nuova cultura della “relazione” e della “responsabilità”, ancora lontana dall’essere condivisa.
«Societing», neologismo di sociologia e marketing, contiene provocazioni lanciate a imprenditori che, nella società postmoderna in cui il consumatore non è più subalterno, tantomeno fidelizzato, ma un informatissimo poligamo a caccia di esperienze, si affidano a strumenti ormai inadeguati come le ricerche di mercato.
«Il marketing è una scienza morta, ormai chi spende sceglie da solo».
Fabris punta il dito sulle griffe Made in Italy che applicano ricarichi enormi sui loro prodotti tacendo sulle condizioni di sfruttamento di chi la produce. Ma non solo.
«Nessun moralismo, mi preoccupo di difendere il nostro sistema d'imprese. Reagire con una insensibilità che sfiora la connivenza a scandali come quelli sul Brunello di Montalcino, è un errore drammatico. (…). Societing vuol dire responsabilità sociale dell'impresa che deve rendere conto del proprio operato. Nel libro cito i focus group che abbiamo fatto nei supermercati durante gli scandali Cirio e Parmalat. Nonostante avessero ottimi prodotti, abbiamo registrato un atteggiamento di astio verso questi marchi. Cirio e Parmalat erano vissuti come colpevoli di aver carpito la buona fede di tante famiglie».
«La crisi dei consumi è un fenomeno congiunturale, io faccio un discorso strutturale. Dietro al fallimento di tanti prodotti c'è anche la mancanza di conoscenza del passaggio epocale che stiamo vivendo. Quante previsioni di certi sociologi si sono rivelate sbagliate! Prevedevano una società fatta da un enorme corpaccione di ceti medi omologati, una società tutta orientata alla modernità. (…) Nella società postmoderna e neobarocca c'è invece una dirompente voglia di comunità; sono sorte vere e proprie tribù attorno ai nuovi totem, le marche o le modalità di consumo; il mercato è un luogo di conversazione e il consumatore è un individuo "flâneur". Il nomadismo, la citazione, il mélange sono veri simboli di quest'epoca. Non solo. C'è una incredibile esplosione di polisensorialità, non solo il tatto, ma anche l'olfatto è decisivo nelle scelte. Negli ultimi anni la leadership del mercato delle cere e dei detersivi si è giocata sulla capacità di offrire una gamma di essenze. (…)
«Prendiamo tutta l'economia low cost: è ben più che vendere a prezzi stracciati; 19 milioni di italiani sono collegati a Internetogni medio consumatore possiede un livello alto d'informazioni e, navigando di sito in sito, sceglie dal divano all'albergo per le vacanze. Le aziende italiane non hanno capito questo fenomeno».
«La vera via è quella coinvolgimento del consumatore nella produzione. L'esempio è Wikipedia, l'enciclopedia redatta in progress e gratis da milioni di esperti amatoriali. A Times Square la Nike ha installato un megaschermo sul quale i passanti, via sms, potevano progettare la loro scarpa ideale; il nuovo boy friend di Barbie è stato progettato da due milioni di persone».
«Ogni volta che si parla di "non etica" il marketing è in prima fila sul banco degli accusati. Non ha senso finanziare l'orso bianco e, poi, produrre accessori sfruttando il lavoro di tanti poveracci».
Niente mezze misure, insomma. Piuttosto la constatazione di un dato di fatto che, paradossalmente, non è noto proprio a chi, con gli strumenti a disposizione per "monitorare" e "sondare", dovrebbe seguire i cambiamenti, se non addirittura anticiparli.
Il che ancora una volta dimostra che "ascoltare" è diverso da "sentire" e che "vedere" è diverso da "guardare". E che questa differenza non è solo un bizantinismo semantico ma indica atteggiamenti manageriali opposti: chi sa ascoltare ha un futuro, chi si ostina a non farlo non andrà lontano.
domenica 1 giugno 2008
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